La ragazza e il ragazzo dimenticati dall'amore

altra ff col Zangue

« Older   Newer »
 
  Share  
.
  1. (` ´)
        +1   +1   -1
     
    .

    User deleted


    Non avendo voglia di postare sul forum la fine dell'altra fic, posto questa che è una sottospecie di sequel anche se i personaggi non hanno nulla a che vedere col primo racconto e nemmeno la storia è la stessa(ci mancherebbe xD) .. x'è solo qualche apparizione di qualche vecchia faccia ma così un po' per affezione. La storia è divisa in due e racconta delle vicende separate di due ragazzi, fratello e sorella, e delle loro vite.

    Detto così può sembrare decente ma ne sta uscendo una cagata colossale piena di errori e della mia poca voglia di rileggere.. Ditemi tutto quello che trovate vi prego x° e stavolta i capitoli sono brevi

    Rating : Rosso
    Genere: Malinconico/ Introspettivo
    Personaggi: Vanessa e Elia Bertocco/ Igor / Ginni Agazzi
    Trama:
    Vanessa è nell'era dell'adolescenza dove inizieranno tutti gli struggenti problemi che quest'età pone, ma non saranno l'unico impiccio nella sua vita bensì una serie di morti "accidentali" di cui i suoi fidanzati sono protagonisti.

    Elia è un ragazzo molto introverso eppure grazie al suo aspetto può contare di quella che è la nota "popolarità" fra i giovani. Nonostante ciò Elia non riesce a provare interesse in quelle ragazzette definite da lui stesso petulanti, arrivando persino alla conclusione di essere gay. Riuscirà una bella moretta a risvegliare i suoi istinti e non solo una gran voglia di prenderla a padellate?


    Capitolo 0 - Colpevole
    E mi spaventa il fatto che vivremo in quello che può essere definito un ipotetico futuro, d’altronde è sorretto da questo stupido e fragile presente … Se ci guardiamo indietro tutto sembra crollare sotto le irrealizzate ambizioni degli uomini. Tutto ciò ha un senso? Quando vivere è privo di un filo logico è brutto, lo sai papà? Dove sei ora?
    Un cadavere al momento riposa cinque metri più in basso, ricoperto da un umido terriccio di sassi e erbacce. Sebbene siano stati investiti parecchi soldi per quella bara in pregiato legno perché deve venir sotterrata in mezzo a tutta quella fanghiglia?
    Era stata accuratamente lucidata: preparata a dovere solo per lui.
    Perché le persone si ostinavano a sputare così sugli sforzi della gente?
    Ed ero proprio lì come una sciocca, circondata da quella cinquantina di persone vestite di nero.
    I loro volti, i loro abiti, tutto era importante quanto una briciola di pane. Delle lacrime della vecchia signora affianco a me o di quel cane che non la smetteva di abbaiare scuotendo il silenzio non me ne poteva importare.
    Circondata da quello scenario di morte incapace di staccare le mani dalla sgualcita gonna che portavo. Eppure io non potevo piangere, già, non riuscivo proprio a farlo, anche se sapevo che trasportata dal pianto dell’anziana sarei esplosa anche io.
    Nell’aria c’era solo quella nauseante puzza d’incenso e quel calmo vento sembrava non volerla portare via come se quel cadavere non avesse ancora deciso di abbandonare questo mondo, malgrado l’avesse già fatto da una settimana.
    Non sarebbe stato difficile dimenticare: non era né il primo né l’ultimo.
    Quante altre volte avevo già visto questa scena ripetersi?
    Un grassoccio clericale stava già recitando delle insensate preghiere mentre tutta la gente ripeteva alla lettera le sue parole come una spenta cantilena. Ma si può veramente contare su una società talmente disperata da credere alle fiabe?
    Come per le mille versioni di Cappuccetto Rosso o di Alice nel paese delle meraviglie anche l’esistenza di un Dio, le sue scritture, i vari film ad esso dedicato … beh ecco, per me era lo stesso.
    Quando non sappiamo dove scappare ci rifugiamo in qualcosa di surreale e fantastico, no?
    Una favola, un racconto, ma anche qualcosa più moderno come internet un videogioco o persino la televisione. Per una ragazza, definita “strana” da chiunque, questo mondo irreale era invece il mio semplice ipod. Me lo avevano regalato per il mio tredicesimo compleanno rivestito da una plastica rosa e ormai consumata, con lo schermo semi-distrutto. Ricordo che fui felicissima nel riceverlo tanto che non me ne separai per una settimana intera. Vederlo scarico era una tragedia e quando finì nel lago quella volta con gli zii, mi misi a piangere come una matta credendo che si fosse rotto.
    E ancora adesso dalle mie orecchie pende quel sottile filo delle cuffiette, ascoltando la mia canzone preferita, “Why is he so near?” degli Stevjl, mentre di fronte a me c’era un corpo privo di qualsiasi proprietà di muoversi.
    Sarebbe stato bello se fosse stato un comune ragazzo di quella spoglia cittadina e invece no cazzo, non lo era, quello non era un semplice cadavere: quello era … il mio ex.
    Fanculo.


    Avevo deciso che non mi sarei più innamorata, ma era successo di nuovo. E così come ciò, ancora la morte era venuta a prendersi la persona a me più cara: colui che potevo liberamente chiamare “il mio ragazzo”.
    Non ero stata assieme a lui da così tanto tempo da farne una totale tragedia. La visione cinica del mondo che avevo non mi permetteva di mandarmi troppo nel panico.
    E poi … era già successo, no?
    Non una, neanche due, tre nemmeno. Avevo perso il conto di quante volte dovevo separarmi dal caldo sapore delle labbra di qualcuno.
    Sembrava quasi che un entità imprecisata avesse da tempo deciso che dovessi rimanere sola, incapace di allacciare i rapporti con qualcuno senza che questo sparisse.
    Se non fossi morto anche tu sarebbe la stessa cosa, papà?
    Continuavo a rimuginare sul passato anche se da sola potevo accorgermi di quanto tutto ciò fosse inutile.
    Ero troppo triste per pensare a qualcosa di allegro e troppo poco fiduciosa per cercare affetto in qualcuno che mi avrebbe di sicuro compresa. Quando una persona è triste la prima cosa che fa è quella di rinchiudersi in sé stessa, il secondo passo invece è quello di lasciarsi andare fra le braccia di una persona cara, ma a volte questo è impossibile. Non sto dicendo che si è soli. Ci sarà sempre qualcuno eppure … a volte tendiamo a bendarci gli occhi con le nostre stesse mani, incapaci di accorgerci che c’è sempre colui che ti sta aspettando.
    «Vanessa–!! Igor è giù che ti aspetta da più di dieci minuti!»
    La voce squillante di quella donna mi riportarono alla realtà. Lei era mia madre.
    Una tipa frizzantina molto giovane, anche lei molto stramba, con una ossessiva passione per gli abiti medievali.
    «Muoviti!!»
    Continuava a urlare come una gallina mentre tentavo di immaginare se questa volta si fosse vestita da cortigiana o da regina d’Inghilterra e, mentre mi persi in questi futili dettagli, lei saliva le scale a grandi passi.
    «Ti muovi?» sbraitò sbattendo la porta della mia stanza.
    Se odiavo una cosa era proprio quella che lei invadesse “i miei spazi”.
    Se avevo una camera tutta mia voleva dire che ci dovevo stare solo io, fine.
    Sì, lo so, ero molto possessiva per le mie cose, ma non potevo fare altrimenti essendo abituata sin da piccola ad avere un fratello rompipalle fra i coglioni.
    Certo, eravamo cresciuti entrambi e le cose erano cambiate a tal punto da non parlarci nemmeno più, ma ormai questa mia caratteristica era rimasta una delle poche cose invariate nel tempo.
    «Beh?»
    La donna era lì in piedi nella mia stanza mentre con le mani intrecciava i capelli per poi sistemarsi lo chignon sulla nuca.
    «Ora scendo.»
    Reazione da tipica figlia nervosa? Le sbattei la porta in faccia tornando sul letto con il mio fidato ipod.
    Va bene, avevo esagerato nel sparlare di lei, in realtà era una di quelle madri che ti vogliono un bene dell’anima, che dedicano tutte sé stesse per te e che non ti si scrollano di dosso nemmeno per un secondo.
    Iperprotettiva, impicciona, scassa balle: non di sicuro la mia “tipologia” di mamma preferita, ma alla fin fine dovevo solo accettarla così com’era.
    Questo suo carattere non aveva mai portato nulla di buono per dirla tutta.
    Non mi sono mai sentita sicura nel confidarmi con lei e non dicendole nulla arriva sempre a una boicottata verità essendo un’impicciona di merda.
    Per fare un banale esempio parlando appunto di queste ‘accidentali morti’ … Sono io la causa di tutto.
    So benissimo che lei lo immagini e non è la sola. Chi non lo farebbe? Dal mio aspetto trascurato la gente potrebbe anche pensarlo. No, miei cari: tingersi i capelli di viola non significa essere una drogata, pazza decerebrata.
    Ho sempre odiato i miei capelli neri sin dall’infanzia. Ho sempre sognato che un giorno magari questi divenissero biondi come quelli di mio padre, ma dopo aver capito che ciò era veramente impossibile ho semplicemente dovuto accettare la realtà. Farmeli di quel biondo finto pannocchia mi pareva una merda. Sì, può essere che la gente pensi che io sia una di quelle bimbette alternative che si tingono i capelli per essere diverse e trasgressive, ma … a me non sembra proprio così.
    Quel viola mi piaceva, o almeno di sicuro più di quella scura ricrescita che già minacciosa si faceva avanti.
    Ah, devo tornare dal parrucchiere entro fine mese, pensavo guardandomi allo specchio.
    Infilai la stessa gonna scura del funerale di poche ore prima e presi la prima maglia di quelle sparpagliate sul pavimento ricordandone persino da chi e quando mi era stata regalata.
    Non amavo lo shopping e il vestire. Sebbene odiassi i capelli scuri, il nero mi stava bene tanto ché ormai il mio striminzito guardaroba contava solo di abiti su quelle allegrissime tonalità.
    Per aggiungere un altro tocco in più da “zombie” al mio aspetto ecco che non poteva mancare anche quella vomitevole matita per occhi.
    Odiavo truccarmi, ma praticamente tutte le ragazze della mia età erano piene di fondotinta anche sulla punta dei piedi ed era quasi impossibile sopravvivere a scuola senza adeguarsi a queste imponenti leggi dettate da quel numero spropositato di adolescenti ochette.
    Sapevo che c’era una sola persona oltre a mia madre ad accettarmi per come ero veramente ed era Igor.
    Chissà da quanto tempo era sotto casa mia ad aspettarmi per andare a scuola eppure non importava se fossimo in ritardo di dieci o trenta minuti, lui rimaneva giù con la sua bici con la neve o con la pioggia.
    Avevo perso il conto da quanti anni ci conoscevamo, ma da quel che ricordavo Igor era sempre stato al mio fianco ed era una di quelle poche persone che si distinguevano dalla enorme massa di gente falsa e stronza.
    Forse era un po’ sempliciotto o meglio dire tontolone, ma era comunque un buon amico.
    Non avevo nemmeno bisogno di controllare dalla finestra se fosse ancora lì, sapevo che avrebbe atteso finché non fossi scesa di sotto.
    «Ohi! Vanessa ti muovi o no?!»
    Ah, era lui.
    «Arrivo!!»
    Indossai il nero giubbotto in pelle mentre nel frattempo urlavo qualcosa di incomprensibile a mia madre che continuava in coro a Igor a chiamarmi fastidiosamente.
    Infilai completamente le lunghe calze a righe e sprofondai nei larghi anfibi ancora pieni del fango di cui mi ero impestata al cimitero.
    Non arrivai mai a domandarmi nemmeno una volta cosa sarebbe successo se la calda presenza di Igor improvvisamente fosse scomparsa. Non capivo quanto esso per me era importante. Per me era solo un semplice amico. Beh anzi, a volte lo consideravo pure noioso o rompipalle.
    Ero sin troppo egoista. Pensavo che da sola avrei potuto anche scalare l’everest, ma mi sbagliavo.
    Finché qualcuno non me l’avesse portato via non sarei riuscita ad aprire gli occhi.
    Per Vanessa Bertocco la primavera doveva ancora arrivare sebbene fosse marzo inoltrato.


    Continuavo a sistemarmi la frangia mentre masticando rapidamente inghiottivo con voracità il caldo panino preparatomi da mia madre. Se c’era una cosa che le riusciva in particolare erano proprio le sue pagnotte ripiene di marmellata alle ciliegie.
    «Allora ti muovi? Igor è ancora là.» sbraitò lei strattonandomi fuori dall’uscio.
    Abitavo in uno di quei quartieri dove tutto era circondato da una noiosa monotonia; le case erano tutte uguali, tinte di un violetto spento, circondate da qualche spoglio alberello e il lungo stradone sulle quali erano accatastate l’una sull’altra era sempre deserto dando più un idea di un luogo sperduto che di quiete e tranquillità.
    Le famose case adatte ad un’allegra e spensierata vita familiare, alla crescita dei nuovi bambini o magari una coppia appena sposata … ma perlopiù abitate da comuni anziani giunti ormai al termine delle loro infime vite.
    Disprezzavo quell’ambiente tanto da sentirmi completamente fuori luogo. Per raggiungere la scuola non dovevo nemmeno alzarmi presto dato che quella si trovava semplicemente alla fine del lungo stradone d’asfalto che giaceva immobile sotto le nostre suole.
    Percorrevo quell’ammasso di ciottoli grigiastri fino al cancello del mio stesso giardino, avvicinandomi alla sorridente quanto incazzata figura.
    «Ciao.» lo salutai indifferente.
    Igor era alto, dai capelli castani e mossi. I suoi occhi erano di quel comunissimo nocciola, ma al contrario di molti erano grandi e solo a guardarli già si intuiva che tipo di persona lui fosse.
    Non era capace di mentire, era sincero, o meglio lui … non aveva mai niente su cui dire il falso, nemmeno un segreto: lui non ne aveva. Sembrava quasi non avesse l’opportunità di compiere qualcosa di peccaminoso.
    «Lo sai che ore sono vero?» disse sventolando minaccioso l’orologio.
    Forse era proprio questo a renderlo noioso. Avessimo avuto motivo per litigare almeno qualche volta, avrebbe potuto esserci qualcosa di più fra di noi. Beh, d’altronde non desideravo null’altro in più da lui.
    «Scusa!» feci con un tono quasi dispiaciuto «Ieri sera non riuscivo a dormire …»
    Era una palla. In realtà non c’era mai stata notte in cui fossi realmente riuscita a chiudere occhio ad un orario abbastanza ragionevole. Era sempre così.
    Anche lui lo sapeva ma fece lo stesso per sorridermi.
    «Vorrà dire che faremo una corsa.»
    Prima di poter iniziare a correre però sentii nuovamente quella petulante voce di mia madre alle spalle.
    «Vane! Il cellulare!!»
    Mi lanciò dietro quella specie di scatolina grigia che assomigliava più a un sasso che a un cellulare ma sicuramente non avrei speso nemmeno un cent in più per raggiungere quei costosissimi gingilli delle mie compagne di scuola.
    Urlai qualche grugnito simile a un “grazie” e afferrai al volo il mio piccolo pomice.
    «Solita sbadata.» disse Igor per stuzzicarmi.
    «Solito lumacone.» feci iniziando in una pazza corsa verso quel miraggio in fondo alla via chiamato scuola.
    Non importava quanto corressi pochi secondi dopo Igor mi superò pedalando con gran foga quasi volesse sadicamente togliermi completamente il fiato sfrecciando sulla sua bici rossa.
    Forse era proprio una punizione la sua. Avergli come al solito spudoratamente mentito sta volta mi era costato il posto sul portapacchi?


    Una volta messo piede a scuola nulla era più facile, la prima volta dopo “quel” funerale e nonostante fossi ancora sotto shock era giunto il momento di affrontare le facce tinte di disprezzo dei miei compagni. Di certo non dubitavo che qualcun altro, oltre a mia madre, pensasse veramente che fossi io la causa di tutto.
    Come potevano addossare la colpa su una ragazzina quasi quindicenne?
    Le persone che pensavano fossi una un po’ trasandata c’erano, le ragazze più “vip” non mi consideravano nemmeno facendo come finta di non vedermi proseguendo a capo levato e passo lesto.
    Le adolescenti come me nella società d’oggi sono un po’ come dire … quelle tipette che vestono strano e non vedono l’ora che il pulmino della scuola le facesse uscire dal ventre le budella?
    No, non ero proprio tipa da tagliarmi i polsi e da finire accidentalmente in coma per alcol e droga, anzi odiavo il fumo. Quegli strani e grezzi amici di Igor puzzavano da mattina a sera di quell’odore nauseabondo e non sopportavo la loro compagnia. Gli unici argomenti erano la trasgressione principale dei giovani: sesso, alcol, fumo e droga. Perché si sa, il motto dei giovani è “Le regole sono fatte per essere infrante.”
    Io sono più dell’opinione de “Le regole sono fatte per rompere le balle” ma se non esiste questo filone … Beh, allora lo creerò adesso.
    «Bertocco, dobbiamo parlarti un secondo.»
    L’inizio dell’intervallo era da poco suonato e già arrivavano a disturbare i miei sconfinati pensieri?
    «Fa finta di non sentire. Che patetica.» continuarono.
    Loro erano le “rompipalle” della classe, o almeno questo per me. Non le consideravo appartenenti al gruppo “vip”, di certo erano cento gradini più in basso.
    Ginni Agazzi, capelli sino alle spalle con un fastidioso ciuffo che le ricadeva sull’occhio sinistro, gli occhi piccoli e grandi allo stesso tempo come fosse un piccolo animaletto impaurito, ma con il suo carattere volesse negare l’evidenza.
    Affianco a lei una bella moretta che sicuramente alzava di un minimo il ranking di popolarità di quel misero gruppetto delle “tre super inseparabili mitiche amiche per sempre yeah”, tanto per definirle con un semplice e brevissimo nominativo. Si va bene, lo ammetto: l’avevo inventato al momento, però TSIMAPSY come sigla è carina … Ok, la smetto, dovevo concentrarmi su cosa rispondere ma proprio non mi veniva in mente niente di logico da dire.
    Alla sinistra delle due una ragazza di poco conto per finire in bruttezza questo magico quartetto mancato. La tipa si descriveva da sé: gonna sgualcita e capelli color paglia. Eh sì perché farsi i capelli di quel giallo banana era da puttana mentre il viola era proprio da sfigati, ovvio.
    «Ehi melanzana.»
    Cioè dai, da che pulpito arrivava la predica.
    Avrei voluto dire tante cose, ma dalla bocca non uscirono.
    Avrei voluto dargliele di santa ragione, ma il mio pugno tremava.
    Avrei voluto farle vedere chi sono, ma la vera me era in coma.
    Cos’ero? Semplicemente una codarda proprio come te. Reagisci ragazza.

    Alla fine mi limitai a seguirle ai bagni con quello sguardo remissivo e mentre tutte mi guardavano con quello sguardo di chi ha appena rapinato la zia ero seduta sul bordo dei lavabi mentre cercavo una scusa per sfuggire rapidamente da quella situazione.
    Era chiaro capire le loro intenzioni, ma non avevo idea sarebbero arrivate a tanto.
    Non so perché non l’ho detto prima ma … a Ginni piaceva il mio ex.
    In qualche modo tutta quella situazione mi faceva sentire superiore a Ginni e nonostante avessi paura avevo un briciolo di orgoglio che mi sosteneva ancora in piedi.
    I soliti pensieri ragazzina stupida ovvero “Se ha scelto me e non te, ci sarà un perché.” e sapendo che Ginni doveva immaginare lo stessi pensando mi venivano i sudori freddi.
    In realtà la cagnetta pensava a tutt’altro che ai miei inutili discorsetti di superiorità.
    Aspettavano ancora che aprissi quello sottile spiraglio che separava il mio labbro inferiore da quella gocciolina di saliva che nel mentre era venuta a formarsi.
    La ragazza paglia fece cenno alla cagna interpretando il mio silenzio come una mia capacità mentale limitata. Stavo incominciando a perdere le staffe per quanto quella situazione fosse ridicola.
    «Senti.» iniziò Ginni prendendo ben bene fiato.
    Avrebbe potuto risparmiarsi quel gran sospirone se voleva semplicemente sputacchiarmi un banale discorsetto da quattro soldi.
    «Parlare con te mi fa schifo. Io non posso pensare che esista un essere come te.» schiamazzo quella.
    «Lui era un ragazzo fantastico, bello, simpatico eppure tu … Tu non ti rendi conto di quello che hai fatto. Tu stupida emo non potevi correre a suicidarti da qualche altra parte? Perché hai dovuto coinvolgerlo? Sei una troia.»
    Nella mia testa vidi la vita passarmi davanti. Quello che pochi giorni prima era un suo sorriso si era ben presto trasformato in questa gracchiante voce che fra un po’ mi avrebbe dato anche le colpe del surriscaldamento globale o dell’economia precaria.
    «Io … Non l’ho ucciso.» fu l’unica cosa che involontariamente uscì finalmente dalla mia bocca.
    La reazione di Ginni fu diretta e molto immediata: in pieno viso mi colpi a palmo spalancato cosicché anche le unghie potessero bene ben lasciare visibile il loro percorso sulla guancia.
    Quello schiaffo ricordava in tutto e per tutto la mia relazione con “lui”: qualcosa che ti coglie alla sprovvista che lascia in te una strana sensazione, dura poco ma lascia il segno.
    Ben presto dai miei occhi scuri scesero lentamente due grossi lacrimoni percorrendo quei sottili graffi che iniziavano ad arrossarsi e ad evidenziare il mio errore.
    Ma lo era veramente? Avevo sbagliato?
    La vista era così annebbiata che il viso della cagnetta pareva quasi carino.
    «Piangi eh?»
    Sbattei finalmente le palpebre e potei vedere quell’espressione di chi si gusta questa vendetta dolce amara.
    Lei non era felice, lei voleva di nuovo lui, dovevo ridarglielo eppure lo sapeva che questo non sarebbe stato più possibile. E una parte di me rideva, e una parte di me gioiva, e piangevo.
    Vidi poi la faccia della rassegnazione, della sconfitta e della tristezza in un unico volto dove la più grande vittoria era il silenzio.
    Quando però mi sembrò di scorgere anche qualche lacrima la ragazza abbattuta girò la testa e prese con la sua strana andatura seguita dalle due e sino a quando non furono lontane, fuori dalla porta, fuori dalla mia vista, rimasi in piedi.
    «Suicidati che è meglio.»
    Crollai a terra.
    Urlai.
    Piansi.
    Urlai nuovamente.
    Fissai il pavimento.
    Presi il fiato.
    Mi calmai.
    Piansi ancora.
    Le azioni continuavano a ripetersi in un ciclo infinito dove lo smalto sulla punta delle unghie si era completamente consumato a forza di raschiare il pavimento e stringere quei lembi di pelle sporgenti dal petto. Mi guardai intorno vagando con gli occhi su quelle bianche piastrelle del bagno. Se in quel momento fosse entrato qualcuno sarebbe stata la mia fine ma fortunatamente la gente preferiva fare chilometri di coda nel bagno vicino alla mensa e non in questo.
    Ringraziai per un momento la grassa signora della mensa e il suo orribile cibo causa del 92% dei problemi intestinali mondiali.
    Mi ricordai allora di avere ancora in tasca il cellulare. Ah, non l’avevo nemmeno messo in silenzioso.
    Ah. Tanto chi mi avrebbe scritto?
    Ripresi a piangere mentre con le dite scorrevo per la rubrica eliminando ogni traccia di lui.
    Raggiunsi il picco massimo quando decisi di aprire anche la cartella “Ricevuti”.
    Era passato così poco tempo che ogni cosa lo riguardasse era per me un gran tasto dolente.
    Non eravamo stati insieme molto, ma è proprio vero che quando qualcosa non c’è ne senti la mancanza.
    “Ti aspetto al molo. Giro in moto io e te. Soli stavolta Ti amo piccola.”
    E fu proprio quando credevo di aver esaurito tutti i liquidi in corpo che mi salì una gran voglia di vomitare.
    Quante volte avevo corso quest’oggi? Non era ancora finita.
    Più in fretta che potei brancolai sino a quel lurido cesso dalla porta spalancata proprio di fronte a me e nonostante una parte di me urlava di fermami non feci a tempo: non riuscii a trattenermi.
    Usciva tutto fuori passando sotto il mio sguardo spento ancora inondato di lacrime. E non riuscivo a pensare altro che a lui e il vomito usciva ancora come quell’incessante miscuglio di liquidi che da me se ne voleva andare. Qual’ora sudassi o il trucco stesse colando giù dalla mia guancia non era francamente importante e non mi preoccupai neppure di centrare la tazza capendo per un secondo quella strana sensazione maschile di beccare il buco. Cercavo ogni sfogo possibile senza recarmi dolore, ma non trovavo altro se non continuare in questa masochista operazione di rigetto.
    Tutto giù, tutto fuori. A cavalcioni davanti a quella tazza mentre con le mani stringevo la tavoletta e sputavo quei sentimenti come fossero merda.


     
    Top
    .
  2.     +1   -1
     
    .
    Avatar



    Group
    Verdeggialla
    Posts
    5,957
    The flodder
    -2,032
    Location
    Ovunque ci siano le persone che più amo

    Status
    Ma tu la posti e non mi dici na ceppa? Essetierreoennezetaa.
    Leggetela tutti, è una figata.
     
    Top
    .
1 replies since 5/3/2012, 16:46   66 views
  Share  
.